Ripubblico qui un breve intervento sulle parole da rottamare richiestomi da Sergio Marra per una pubblicazione del Teatro Stabile di Napoli (‘Choc’, in «Tra», bimestrale del Teatro
Stabile di Napoli, n° 4, aprile/maggio 2010).
Di fronte alla possibilità di abrogare definitivamente
dal vocabolario parole usurate da un uso smodato ed eccessivo ed ormai del
tutto inflazionate, o di ridurne perlomeno temporaneamente la circolazione,
non c’è che l’imbarazzo della
scelta. Ma dal momento che me ne
spetta solo una, così a caso scelgo una parola d’importazione che però da
qualche tempo sembra entrata di
diritto nel vocabolario italiano. Non passa giorno che i titolisti dei giornali
italiani, manifestando un atteggiamento assolutamente bipartisan, non aggiungano, pur di attirare dei lettori sempre più
distratti, all’esternazione di un
politico, alla battuta di una star televisiva, ad un video finito su You Tube, ad un comportamento per quel poco che sia sopra le righe
o infranga il politicamente corretto, la parola ‘choc’. Beata ignoranza! Se è vero che la vita
moderna, mediatica e metropolitana, aumenta a dismisura gli stimoli e le sollecitazioni cui sono
sottoposti i nostri sensi fino al punto che la nostra esistenza quotidiana potrebbe essere descritta come un incessante susseguirsi di
piccoli traumi, di invisibili ferite che subito si rimarginano, di modifiche
continue e dolorose per adattarci al ritmo convulso e sincopato cui ci
costringono le forme di vita della società contemporanea, se è vero insomma che tutta la nostra vita
non è altro che uno ‘choc’, resta
tuttavia un dubbio se questa invocazione continua al perturbante, all’urticante
e allo sconvolgente abbia lo scopo
di tenerci svegli, sempre all’erta, pronti per rispondere ad ogni evenienenza e
ad ogni imprevisto che ci possa capitare o non abbia di mira invece proprio il
contrario, vale a dire assopirci,
renderci indifferenti, quasi anaffettivi, capaci insomma di sopportare
tutto perché diventati ormai insensibili. Come ci si inietta il vaccino
per poter produrre gli anticorpi
che ci difenderanno spontaneamente dalla malattia, così ci procuriamo gli chocs per diventare
immuni dai traumi che la vita
moderna ci infligge, ci facciamo male per poter controllare meglio il dolore
fino al punto di non sentirlo più. Non annoierò il lettore ricordandogli che
questa interpretazione della funzione degli chocs nella vita moderna si deve a
Walter Benjamin che la elaborò a proposito della poesia di Baudelaire e delle
forme della vita
metropolitana nella seconda metà dell’ottocento. Per concludere vorrei far
notare solo questo: per Benjamin l’unica funzione della poesia lirica nella
modernità era quello di produrre chocs in modo che la coscienza fosse ricoperta
da una spessa coltre protettiva che la difendesse dai suoi traumi. Per questo ogni poesia di Baudelaire
presenta, secondo Benjamin, lo schema di una catastrofe, racconta un incontro
mancato, mette in scena un amore impossibile, è attraversata dalla morte e
dalla putrefazione. Ciò vuol dire però che a produrre gli chocs erano i poeti e
che se la poesia serviva all’ipocrita lettore per attivare i suoi meccanismi di
difesa, tuttavia a questa operazione sopravviveva l’opera con tutta la sua struggente bellezza. Oggi gli chocs li
producono i titolisti dei giornali: da questo si può misurare la grandezza del
declino.
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