Ad ogni nuovo papa, il fronte
laico entra in trepidante attesa: che sia, si augura, la volta buona per avere l’accesso
delle donne al sacedorzio, la revoca del celibato per i preti, l’accettazione
dell’aborto, quella della contraaccezione, il diritto alla buona morte e dulcis in fundo la celebrazione dei
matrimoni gay? Non prima
però di aver mandato al rogo tutti i preti pedofili e i loro superiori e di
avere in sostanza trasformato con qualche secolo di ritardo - ma non è mai troppo tardi - il cattolicesimo
in protestantesimo: dimenticavo le richieste dei teologi alla Vito Mancuso.
Non ci vuole un profeta biblico
per sapere che resteranno delusi: non accadrà nulla di tutto questo. Anzi. Del
nuovo papa già si sa ad esempio che all’altro capo del mondo dove i cardinali sono andati a pescarlo, in
Argentina, si era battuto e con durezza contro la legge che introduceva i
matrimoni gay. E lo farà anche contro quella che in Francia fa altrettanto.
Sulla quale e sulla discussione che aveva provocato era intervenuto qualche
tempo fa sul Corriere della Sera Ernesto Galli della Loggia (30 dicembre 2012)
notando fra le altre cose che a prendere posizione contro non era stato soltanto il
solito cattolicesimo conservatore e reazionario ma anche l’ebraismo
progressista e cosmopolita e che
lo aveva fatto nella persona del rabbino capo di Francia Gilles Bernheim di cui si citava l’intervento
intitolato Mariage homosexuel, homoparentalité
et adoption: ce que l’on oublie de dire.
Il dissenso del rabbino capo
verte essenzialmente sullo scompiglio che i matrimoni gay apporterebbero nella
catena delle filiazioni: una preoccupazione assolutamente comprensibile dal
punto di vista ebraico in cui l’appartenenza alla nazione ebraica - per
discendenza soprattuto materna - e alla religione ebraica è quasi la stessa
cosa e quindi il rispetto delle filiazioni è essenziale, meno per il
cristianesimo in cui l’essere tutti figlio di Dio e uniti dal vincolo della
fraternità in nome dell’amore produce il trionfo dell’incesto e il groviglio
inestricabile delle filiazioni - oltre alle prime due persone della trinità che sono insieme padre e figlio, basterebbe pensare alla Madonna che è
contemporaneamente madre di Cristo e sposa di
Dio, del Padre, del Verbo, dell’Agnello e dello Spirito
Santo, oltre ad essere figlia come tutti gli altri.
Comunque per il rabbino capo il
matrimonio non è unicamente il riconoscimento di un amore, è «l’istituzione che
articola l’alleanza dell’uomo e della donna con la successione delle
generazioni». Il matrimonio si fonda sulla, di più fa tutt’uno con la, differenza sessuale, non può diventare quindi un’istituzione
asessuata. Per il rabbino capo il
rapporto parentale implica la sessuazione, il termine ‘parente’ non è neutro, è
sessuato. Né la parentela può essere ridotta a un mero esercizio di funzioni,
soprattutto educative. In altri termini il matrimonio introduce il nuovo nato
non solo in una rete di filiazioni certa - un padre e una madre, i loro genitori e così via all’infinito -, ma
anche in una sessuazione anatomica e simbolica univoca.
Per certi versi l’argomentazione
del rabbino capo potrebbe ricordare quella analoga di Jean-Claude Milner che in
Les penchants criminels de l’Europe
démocratique (2003) denunciava l’oblio cattolico e laico-democratico di ciò
che definiva con un vezzo heideggeriano la ‘quaduplicità’, cioè l’essere
irretito di ciascun essere parlante in un quadrato i cui angoli sono
costituiti da due copie di termini: maschile/femminile e
genitori/figli. Questa verità valevole per tutti lo era in particolare
per gli ebrei, per il nome ‘ebreo’ che deve tutto alla sola quadruplicità. Ma
la notazione era rivolta contro tutti i tentativi di spiritualizzazione della
sessuazione e della trasmissione del nome attraverso la generazione sessuata
messi in opera appunto in primo luogo dal cristianesimo cattolico che come suo
atto di nascita ha la decisione paolina di ammettere nella chiesa nascente
anche i non circoncisi, annullando in tal modo le filiazioni a sfondo
corporeo-materiale a favore di quelle
esclusivamente ideal-spiritualistiche. Con la paradossale conseguenza
che mentre il presunto particolarismo ebraico è in grado di rappresentarsi la
successione illimitata delle generazioni fino al punto di fare degli ebrei la
testimonianza più potente dal punto di vista politico del pastout
lacaniano, cioè di un insieme inconsistente e illimitato, l’universalità del
cristianesimo che poggia sull’abolizione di qualunque differenza forma un insieme chiuso e limitato che implica
necessariamente l’esclusione del diverso - dell’ebreo per esempio condotta fino
allo sterminio.
Esiste per Milner un vecchio sogno perverso dell’umanità parlante, rappresentato oggi per
esempio dalla setta dei Realiani, che è quello di riuscire a «disgiungere la
perpetuazione della specie umana dal contatto sessuale, affrancarla dal vincolo
dell’Altro sesso per farne un puro passaggio dallo Stesso allo Stesso, togliere
ogni senso alla possibilità che il bambino possa nominare i suoi genitori, fare
in modo che il padre non possa nominare fra le donne quella che porta il
bambino che ha generato, che la madre non possa nominare fra gli uomini quello
del quale ella è incinta, e che i nomi di padre e madre perdano ogni senso
eccetto quello contrattuale, convenzionale». Un vecchio sogno che dura
dall’abolizione della famiglia
consigliata da Platone perlomeno nell’educazione dei guardiani e dalla necessità di sottoporre le scelte sessuali a delle
rigide leggi eugenetiche.
La critica della
universalizzazione spiritualizzante in quanto prodotto del cattolicesimo e
delle ideologie della democrazia moderna non ha in Milner tuttavia nulla a che
vedere con lo schiacciamento della sfera del sessuale sul destino
anatomico che è invece la
posizione su cui si attesta il rabbino capo per il quale se i teorici della
‘gender theory’ non definiscono
gli individui in base al sesso, ma alla sessualità (omo, etero…) è perché
«cancellano la dimensione biologica e anatomica che separa due sessi per non
vedere che dei generi multipli, dettati dalla cultura e dalla storia». Per
Milner non si tratta di identificare la differenza sessuale, la questione cioè
dell’Altro sesso, con quella biologica, né di conseguenza di farsi paladino del
matrimonio eterosessuale a scopi procreativi, ma di salvaguardare la differenza
dell’Altro sesso da ogni riduzione al regno del Medesimo e dello Stesso. Lo dimostra
una serie di colloqui pubblicata
di recente (Clartés de tout, de Lacan à
Marx, d’Aristote à Mao, Paris 2011) in cui messo di fronte dall’interlocutore alla differenza
abissale che passa fra le tesi di Foucault sul fatto che «le nuove forme
ufficializzate tra gay, davano forma, all’epoca, a dei nuovi tipi di legami,
distinti da quelli eterosessuali»
e quel che accade oggi «in cui le unioni gay adottano le stesse forme dei rapporti fra uomini e donne» quali i «Pacs, le rivendicazioni
dell’adozione dei bambini, il matrimonio sul modello eterosessuale», Milner,
non solo si dichiara d’accordo, ma di più aggiunge che se l’intento di Foucault
nella Storia della sessualità era
stato quello di mostrare come nella
società moderna la
sessualità fosse usata a fini di veridificazione e di controllo, il solo optare a favore del termine gay contro quello di
‘omosessuale’ era un modo di
mettere la sessualità fuori gioco, fare opera di critica della società moderna
e costruire nuove forme di legame.
Il punto cruciale è che mentre il referente di Milner è la
psicoanalisi e in particolare la
posizione di Jacques Lacan per la quale ‘non c’è rapporto sessuale’, quello del
rabbino capo è il testo biblico da cui si
estrae la tesi del
carattere relazionale dei sessi il cui significato è che ‘c’è il
rapporto sessuale’. Quindi la cosa più interessante e per certi versi
divertente del dibattito sui matrimoni gay è l’appello finale di Ernesto Galli
della Loggia nel suo intervento contro i matrimoni gay affinché «personalità autorevoli
(per esempio gli psicoanalisti) non abbiano paura di far sentire la loro
opinione: anche quando questa non è conforme a quello che appare il mainstream delle idee dominanti». Ma da dove viene questa certezza immarscescibile che gli psicoanalisti
non possano che esser d’accordo
con Galli della Loggia e con il rabbino capo? Forse dalle origini ebraiche di
Freud? L’aspetto appunto divertente della situazione è che uno psicoanalista ha
risposto e nella persona di Silvia
Vegetti Finzi ha dato ragione a Galli della Loggia in nome di una pseudo
ortodossia freudiana. Utilizzando come una clava il complesso edipico elaborato
da Freud per render conto della necessità sociale che da una parte i soggetti
pervengano all’assunzione della loro identità sessuale e dall’altra alla scelta esogamica del partner,
stante il fatto che la sessualità è nell’essere umano originariamente
perverso-polimorfa, Vegetti Finzi trasforma una costruzione teorica e un
supporto teraupetico in una prescrizione superegoica e colpevolizzante
in cui la necessità - che diventa obbligo legale - che i genitori siano
rigorosamente maschio e femmina è giustificata in nome dei diritti
dell’infante: secondo Silvia Vegetti Finzi - che purtoppo non è sola nel campo della psicoanalisi - il bambino per diventare un buon adulto ha bisogno di entrambe le figure, paterna e materna, distribuite sui due sessi biologici, pena disturbi irreversibili nella evoluzione psicologica. La psicoanalista come se fosse un medico di base vuole eliminare il sintomo e non si rende conto che col sintomo fa fuori anche il paziente che a lei si era affidato per lenire il peso dell'esistere. Che ne è allora di tutti coloro che sono cresciuti orfani o che
sono stati allevati solo dalla madre o solo dal padre, o da un patrigno o da
una matrigna, o da nessuno, o ancora da zie, nonni e altre figure parentali
ancora? Che ne è di tutti i senza famiglia? C’è per loro un limbo come per i
morti prima del battesimo o addirittura prima della nascita di Cristo? O sono
tutti condannatìi all’inferno della nevrosi o di quelle brutte cose come la
pedofilia, la violenza, il sadismo e perché no l’omosessualità? Chi non ha fatto l’Edipo è destinato
alla perdizione?
Ovviamente no! E lo sapeva anche
Freud che se aveva avuto la possibilità di isolare l’Edipo quale luogo di
costituzione soggettiva, di normalizzazione-normazione della sessualità, era
proprio perché non funzionava mai: se avesse funzionato alla perfezione nessun
motivo per accorgersi della sua esistenza così come si accorgiamo di avere dei
polmoni solo quando incominciamo
ad affannare. E nonostante questo, cosa mostra l’Edipo? Mostra che il sesso è
una costruzione simbolica e non un dato anatomico-biologico. Il piccolo d’uomo
non è come il cucciolo di cane: l’esser nato prematuro lo spoglia di ogni
apparato istintuale impedendo ad
esempio che la brama sessuale emerga solo nei periodi di fecondità. Essa è
invece continua e indipendente dallo sviluppo degli apparati riproduttivi:
presente dall’inizio - sessualità infantile - non solo, ma priva oltretutto di
un oggetto proprio, specifico perché dato in natura, la pulsione investe tutto
allo stessa stregua, parti del corpo, proprio o altrui, corpi maschili e
femminili secondo il dettato anatomico, e anche gli oggetti senza sesso che essa è in grado di
far diventare egualmente erogeni. Nella misura in cui tale sessualità
perversa-polimorfa mette in pericolo la tenuta della civiltà, che per parte sua
poggia sulla rinuncia al soddisfacimento pulsionale, la funzione dell’Edipo
consiste nel fondare l’identità sessuale e la conseguente scelta del partner
non più sul sesso biologico - cosa oramai impossibile - bensì sulla
presenza-assenza di un termine dalla natura più simbolica che empirico-reale
che Freud individua nel Fallo. Si dimentica che la risoluzione dell’Edipo è
dovuta in entrambi i sessi alla castrazione, cioè alla perdita - del tutto simbolica -
del simbolo appunto che rappresenta la potenza della vita: la castrazione da questo di vista è una
mortificazione. Nessuno è il
fallo, tutti ne hanno un fac-simile, un sembiante, poco servibile. Senza dire poi che il fallo in questione, il
fallo cui si deve rinunciare insieme al suo corredo di soddisfacimento, è il
fallo materno, ossia un oggetto inevitabilmente immaginario e non reale.
Insomma già in Freud che aveva
individuato fra le fasi della sessualità umana quella fallica, distinguendola
accuratamente da quella genitale, la ripartizione sessuale era ottenuta
attraverso la presenza-assenza di un significante, il fallo, che non aveva più
nessun rapporto con la differenza sessuale anatomica. Se fra le prestazioni
dell’Edipo c’era in qualche modo anche quella di tentare di far coincidere per
quanto possibile l’identità sessuale simbolica col sesso anatomico per
assicurare la riproduzione della specie, ciò si è rivelato col tempo del tutto
irrilevante. Una cosa invece è certa: in psicoanalisi i sessi restano due, in
psicoanalisi non può avere corso la teoria culturalista dei generi sessuali.
Essendo il modo primordiale di operare del simbolo quello di dividere per due,
in base all’alternativa secca presenza-assenza, + -, una grandezza continua
come il sesso, i sessi non possono che essere due. Ciò non esclude effetti
rilevanti e divertenti: nell’Ètourdit,
Lacan risolve la questione dei sessi in modo definitivo: «diciamo eterosessuale
per definizione ciò che ama le
donne, qualunque sia il sesso proprio», ossia è eterosessuale chiunque ami le
donne e quindi anche le omosessuali femminili, ossia le lesbiche. Reciprocamente si dirà omosessuale chiunque ami
gli uomini e quindi anche le donne eterosessuali. Quindi le omosessuali donne sono eterosessuali e le donne
eterosessuali sono omosessuali. Omosessuali allora sono sia gli uomini che le donne, gli uomini omosessuali e le donne eterosessuali, e sempre sia gli uomini che le donne sono anche eterosessuali, gli uomini eterosessuali e le donne omosessuali. Sfido chiunque, anche gli psicoanalisti, a continuare
a usare le categorie sessuali in modo tradizionale e a pretendere di trarne
prescrizioni morali o criteri
normativi di qualunque tipo.
Dal punto di vista
psicoanalitico non è importante la distinzione fra eterosessualità e omosessualità letta in riferimento
alla differenza biologica dei sessi, è
decisivo il fatto che ciascun sesso, quale che sia, si confronti con
l’Altro sesso, cioè col sesso che incarna l’alterità radicale, quella alterità
che in nessun caso può essere rimessa sotto il dominio dello Stesso. Ciascun
sesso, messo a confronto con l’Altro sesso, con l’Éteros, è posto di fronte alla mancanza, all’impossibilità del
rapporto. Che si dia un’accoppiata
fra uomo e donna, uomo e uomo, donna e donna, ciò che conta è che non
c’è rapporto sessuale appunto perchè l’Altro sarà sempre incommensurabile con l’uno. Che cos’è l’Altro?
L’Altro è ciò che non è uno, e che anche
se fosse molti non potrebbe mai essere contato per uno. L’Altro è ciò
che, non essendo uno, non può nemmeno mai essere il tutto, l’uno-tutto o il
tutt’uno. Mi rendo conto che in questo modo ci si addentra nei meandri
dell’ontologia, ma credere che la psicoanalisi sia una branca della psicologia
significa tradirla. Per Lacan il sesso che non è uno, che non si conta mai per
uno, che di conseguenza non è un tutto, è quello che si dice donna. Allora
l’Altro sesso con cui ogni sesso, uomo e/o donna, omosessuale e/o eterosessuale che
sia, si confronta, scoprendo che non c’è rapporto, è quello femminile. È a
partire dalla mancanza del rapporto sessuale, del rapporto con l’Altro sesso, con
l’Éteros, che la psicoanalisi ripensa
l’intera questione dei legami interumani.
Per chiudere, l’unica cosa che
da un punto di vista psicoanalitico si può dire sulla questione dei matrimoni
gay è che la loro richiesta potrebbe apparire come una domanda di
normalizzazione, di schiacciamento del rapporto fra due uomini (?) sullo schema più bieco dell’eterosessualità,
abbandonando la possibilità di pensare nuovi tipi di legame. Più che l’azzeramento
della sessualità come paventa il rabbino capo, si starebbe di fronte ad un trionfo postumo della
eterosessualità che veramente diventerebbe l’unico modo di rapporto fra i
sessi. Non diversa era la precoccupazione di Pasolini quando prendeva posizione,
con scandalo di tutti i progressisti, nei confronti dell’aborto: temeva infatti
che la procreazione facile e senza prezzi simbolici da pagare preludesse ad una pratica consumistica
del sesso a tutto vantaggio del primato borghese e conformista dell’eterosessualità.
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