sabato 21 aprile 2012

Colonna continua 6

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1) È possibile una democrazia senza partiti? Se i partiti sono quelli della tradizione europea otto-novecentesca, dei partiti-stato, dei partiti-istituzione, dei partiti che si sostituiscono alle istituzioni, la risposta è sì, ne può fare perfettamente a meno.
La democrazia non ha bisogno dei partiti, ha bisogno delle istituzioni di governo, la democrazia è caratterizzata dalla scelta dei governanti fatta attraverso o l’elezione a suffragio universale o il sorteggio. Ha ragione Angelo Panebianco: i partiti sono dei comitati elettorali e dei selettori di classe dirigente. O anche la parte che dà voce ai senza parte. In nessun caso dei contenitori di interessi la cui difesa si traduce quasi sempre in un privilegio corporativo. Quella politica che identifica il suo compito nel blandire gli elettori per conquistarne il consenso finisce per delegittimarsi. Le masse civilizzate e denaturalizzate alla fine castigano chi è prono alle loro richieste e lo giudicano per quel che è: un parolaio impotente. Sono i piccolo borghesi che si credono estranei alle masse postmoderne quelli che inneggiano al primo demagogo che passa, quasi sempre un teppista di destra pronto ad aprire campi di concentramento in cui ammassare migranti, oppositori, omosessuali - vedi alla voce Grillo e/o di Pietro.

2) Né è vera la tesi secondo la quale l’essenza della democrazia consisterebbe nella protezione delle minoranze o delle opposizioni da massicce maggioranze di governo che tendono a zittire ogni voce critica e ad imporre il pensiero unico. Vale a dire la democrazia non si identifica con l’essere una minoranza o lo stare all’opposizione. La democrazia è una forma di governo. È vero tuttavia che in democrazia si proteggono le minoranze e le opposizioni, ma solo nel senso che si lascia aperta la possibilità che esse possano divenire a loro volta forze di governo. In realtà a governare in democrazia sono sempre delle minoranze e la maggioranza non è mai niente di più di una finzione ottenuta attraverso un meccanismo elettorale. La democrazia è il regno del minoritario che riesce a governare una moltitudine e a guidare una comunità storica. Il pericolo per la democrazia sono quindi sia coloro che scelgono di restare opposizione a vita in attesa di un tempo meraviglioso che non arriva mai, sia coloro che scambiano la politica con la ricerca del consenso della maggioranza, ossia di tutti, e che inevitabilemente trasformano l’essere-assieme in un regime di polizia secondo l’accezione che questo termine ha ricevuto nel pensiero politico di Jacques Ranciére.

3) Periodicamente, quando la crisi del capitalismo prende un aspetto più massiccio e virulento, si diffonde a sinistra dello schieramento politico-sociale un’illusione che prepara, non il risveglio rivoluzionario - quello di cui parlava Benjamin -, ma quello amaro e disincantato di chi scopre di essersi ingannato e paga con la malinconia se non con l’autodistruzione l’errore di giudizio in cui era caduto. L’illusione consiste nel convincersi che la crisi cui si assiste e da cui si è afflitti sia l’ultima crisi del capitalismo oltre la quale se solo lo si vuole già si annuncia l’alba di un nuovo giorno e un altro mondo. Così avevano pensato quei politici e intellettuali alla fine del secolo diciannovesimo quando l’Europa fu attraversata da ciò che fu chiamato ‘la grande depressione’ e che durò dal 1873 al 1895. Questa crisi, la prima così estesa e così violenta, sembrò la conferma empirica di quella che i marxisti dell’epoca avevano chiamato ‘la teoria del crollo’. Interpretando Marx in modo affrettato si erano convinti che a causa delle sue contraddizioni il capitalismo non solo sarebbe scomparso da solo ma anche che la sua dissoluzione avrebbe dato vita alla società comunista. Non andò così né allora né dopo, né nel 1929, né nel secondo dopoguerra, né nel ‘68. Non andrà così neanche adesso. La diagnosi di Lenin secondo cui le crisi del capitalismo generano l’estremismo - leggi: l’operaismo in tutte le sue varianti oltre agli indignati, agli altermondialisti e ai benecomunisti - che è la malattia infantile del comunismo e che come vale per tutte le malattie infantili possiamo solo aspettare che passi, è perfettamente valida anche oggi. Prepariamoci dunque alla convalescenza. E contemporaneamente al peggio. Molto più probabile infatti è che il capitalismo risolva la sua crisi come ha fatto altre volte: scatenando una guerra per l'egemonia e per l'accesso alle risorse. Se la guerra sarà quella contro l'Iran  saremo messi di fronte una volta di più al paradosso di una guerra intercapitalista che per averci liberato anche da  un regime tirannico e antilibertario si legittima agli occhi della storia.



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