lunedì 12 dicembre 2011

Colonna continua 4



1) Quali considerazioni trarre dalle ultime vicende politiche italiane e dalla formazione del governo del presidente o governo tecnico o istituzionale o di larghe intese o di emergenza nazionale o come diavolo lo si voglia definire? Come  ha fatto notare Ernesto Galli della Loggia (Corriere della sera, 12/12/2011) il governo Monti in quanto governo del presidente è anche se in un modo non formalizzato l’applicazione del principio dello stato d’eccezione: il presidente della repubblica interpretando in maniera estesa i poteri accordatigli dalla costituzione ha di fatto costretto alle dimissioni il precedente governo e al di fuori di qualunque procedura democratica - il voto - ha nominato di sua inziativa il nuovo governo di cosiddetti tecnici costringendo i partiti politici maggiori (soprattutto il partito democratico da cui proviene e che avrebbe vinto facilmente le elezioni) ad appoggiarlo in parlamento sulla base del rischio di bancarotta finanziaria dello stato.
In primo luogo gli eventi recenti confermano una tesi che ho cercato di articolare in più di un intervento [il più recente dei quali è: La democrazia variopinta e il caso italiano in La democrazia in Italia (Cronopio)]: le democrazie sono votate al sucidio autoimmunitario. Per difendersi dai virus che  tendono ad invaderle e a minacciarne l’esistenza, le democrazie, una volta preso atto dell’impotenza degli anticorpi prodotti in precedenza, si immunizzano autodistruggendosi in base al principio che un cadavere, o ciò che appare tale,  diviene inappetibile per i virus che per prosperare hanno bisogno, come il cancro, di carne viva.  Meglio fare il morto per un certo tempo che morire definitivamente. Per sopravvivere le democrazie si autosospendono, rinviano l’esercizio del voto, mettono in quarantena la normale alternanza di governo. Ma nella misura in cui la dichiarazione dello stato d’eccezione, ciò che Lenin chiamava la dittatura democratica, con buona pace di Giorgio Agamben, è il dispositivo che serve alle democrazie per non  morire, l’uscita dallo stato d’emergenza è una democratizzazione più spinta e più eccessiva - il contrario di ciò che fa e farà il partito democratico.

2) La seconda considerazione è la costatazione che il governo Monti conferma la facile predizione (fatta in La democrazia in Italia, in Inschibboleth, rivista on line, n° 36) circa il fatto che la fuoriuscita dal berlusconismo, posto che sia mai avvenuta, sarebbe avvenuta da destra, anzi da destra con la complicità della sinistra rappresentata dal partito democratico. Il governo Monti fa quello che il governo Berlusconi  avrebbe voluto e dovuto fare, ma che non ha fatto per i contrasti interni oltre che per il logoramento della sua leadership (che ha fatto  tutto, bisogna dirlo, quello che era in suo potere per provocarla, dall’alleanza acritica con la lega all’accettazione supina della politica economica del nazionalsocialista Giulio Tremonti). Dovrebbe essere chiaro a tutti che il governo Berlusconi non è caduto per le questioni per così dire sessuali del suo leader, bensì per lo scontro di classe che si era aperto al suo interno fra i difensori - Tremonti, la lega nord, apparati di stato, cerchie professionali, gruppi d’interesse - dello status quo economico e sociale e i sostenitori della necessità  che l’Italia  dopo il ciclo espansivo del dopo guerra - il cosiddetto miracolo economico - da tempo terminato, si muovesse in vista di una nuova accumulazione, quasi primitiva, del capitale.  Quel che si chiama con un eufemismo ’crescita’ altro non è che la riapertura di un ciclo capitalista che, come mostra Marx, ha origine ogni volta in una nuova accumulazione, in una nuova estrazione di plusvalore. Bisogna mettere l’intera società al lavoro, renderla più produttiva: per far ciò è necessario liquidare anche con la forza le posizioni di potere acquisite col tempo da  parti e ceti interni alle classi sociali una volta propulsivi e rivoluzionari, oggi conservatori o apertamente reazionari perché interessati solo a difendere la rendita di  potere - economica ma non solo, alle volte anche simbolica -  precedentemente conquistata. Tali forze reazionarie sono presenti sia nella classe borghese sia in quella proletaria e che i sindacati oggi rappresentino gli interessi di ciò che una volta si sarebbe chiamato l’aristocrazia operaia è sotto gli occhi di tutti. La trasversalità degli interessi in gioco da difendere spiega anche la sottomissione del partito democratico e la sua incapacità di far politica in proprio.

3) Ciò che Marx ha mostrato - ma chi lo legge più? - è che il compito della rivoluzione comunista, democratica proprio perché comunista (si veda la ricostruzione del discorso leninista sulla democrazia che ho fatto, insieme a Fabio Raimondi, in La democrazia in estinzione, di prossima pubblicazione nel volume degli atti del convegno tenuto a Napoli quest’anno sul tema della democrazia), consiste nell’invertire il ciclo nel punto della sua massima espansione - nel punto massimo d’innalzamento del pil - per provare ad impedire l’effetto inevitabile della caduta del saggio di profitto e la conseguente crisi. Non si fa nessuna rivoluzione nei periodi di crisi, di scarsa produttività e di scarsi consumi. La rivoluzione, se si fa, si fa nei periodi di crescita, quando c’è di che scialare e nel caso in cui ci si trovi a doverla fare in condizioni di arretratezza, come nella Russia del 1917, la prima cosa in cui si impegnano il governo rivoluzionario e la frazione comunista che lo guida sono, dopo aver assicurato l’approvvigionamento forzato delle città - economia di guerra - l’accumulazione primitiva del capitale - nuova politica economica. Ed è contro quest'ultima che Stalin, complice la malattia e forse i limiti teorico-politici di Lenin, fece la scelta  di fare a meno del valore di scambio che ha portato al fallimento dell'esperienza dell'Unione sovietica. Il comunismo non presuppone la povertà  ma la ricchezza e la ricchezza nella modernità si produce attraverso il capitale. Chi pensa il contrario ha dell’umanità una visione meschina, gretta, chiusa:   la vuole povera, senza desideri, senza eccessi. Il comunismo è contro la decrescita.

4)  Altra predizione avveratasi (Appunti sulla situazione italiana, in Inschibboleth, rivista on line, n° 32) riguarda il fatto che i vecchi esponenti dell’arco costituzionale con l’aiuto del presidente della repubblica e di quello della camera sarebbero riusciti come già nel ’94 a costringere Berlusconi a fare il cosiddetto passo indietro cercando o di  derubricare il berlusconisno, come il fascismo d’altronde, a semplice parentesi della luminosa storia iniziata col risorgimento e proseguita con la resistenza, o a trattarlo come ennesima riprova del carattere italiano,  tratto perenne della biografia della nazione,   imperniato sull’individualismo e sul familismo, sull’amore del particulare, ricavandone la stucchevole riproposizione delle  due italie, quella appunto disinteressata al bene pubblico e l’altra, onesta, perbene, sinceramente democratica, solidale e  che paga le tasse.  Una visione dicotomica dell’italia che da sempre impedisce il consolidamento delle istituzioni dello stato italiano che restano deboli e  impotenti, preda ogni volta delle forze più conservatrici o dei riformatori cialtroni. Come ho giò scritto uno dei guai della storia d’Italia è consistito nel fatto che i tentativi di riforma delle sue istituzioni e delle sue forme di vita sono stati fatti per lo più da cialtroni, vale a dire da persone e gruppi privi di una cultura politica  e di basi teoriche tali da farli essere all’altezza delle questioni che dovevano affrontare.  Berlusconi ne è la conferma: da un lato è colui che più di tutti ha innovato la politica italiana cercando di ammodernarla, dall’altro è il più grande fallimento in questa direzione che fosse possibile immaginare. Berlusconi è un altro che per insipienza e per presunzione si è eliminato da solo, che ha fatto tutto da solo, visto lo stato catatonico in cui si trovava e si trova l’opposizione di sinistra.
Allo stesso tempo va detto che il sogno delle forze del vecchio arco costituzionale - cui si è aggiunto Fini che  una volta ne era escluso: è l’unico  risultato che questo uomo politico opaco e inconsistente può vantare - di liberarsi di Berlusconi perché gattopardianamente nulla cambi è destinato al fallimento: è tempo ormai che l’Italia se non vuole scomparire attui la nuova accumulazione del capitale. Il governo Monti sta lì per questo.  Se partiti e sindacati non glielo lasceranno fare, verrà di peggio, verrà l’uomo lupo e lo imporrà con la violenza. Altro che lacrime e sangue!

4) Il governo Monti segna l’affossamento definitivo del partito democratico che da questa esperienza uscirà distrutto.  Quando il governo Monti finirà e si tornerà alle cosiddette regole della democrazia le elezioni saranno vinte  da chi ha governato la transizione e la nuova accumulazione del capitale, cioè dalla destra, e  il partito democratico, posto che sopravviverà nella forma  che ha attualmente, sarà relegato all’opposizione per un tempo lunghissimo. Cosa avrebbe dovuto fare? Pretendere le elezioni buttando a mare le velleità da padre della patria del suo presidente della repubblica, vincerle e governare l’accumulazione del capitale, fare le riforme di lacrime e sangue, mettere l’Italia a lavoro, tagliando col sindacato e con la sinistra antagonista ormai preda delle tesi reazionarie sulla decrescita, i beni comuni, la difesa della madre terra etc., o attestata nei casi migliori sulle posizioni operaiste da sempre perdenti nella lotta contro il capitale. Come avviene in Cina - ma insomma qualcuno vuole seriamente incominciare a farci capire cosa succede in Cina o dobbiamo accontentarci delle serie ma ormai datate ricerche di Giovanni Arrighi e delle  banalità che scrive Federico Rampini? - il partito comunista governa l’accumulazione del capitale. Il processo non è indolore, forse è tragico, ma è l’unico possibile se la parola comunismo ha ancora un senso.  

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