domenica 15 maggio 2011

Colonna continua 1


1) In riferimento alle pagine del seminario di Foucault del 1970-1971 Lezioni sulla volontà di sapere, bisognerebbe trattare il concetto di pre-diritto elaborato da Gernet come  quello di preistoria secondo Benjamin o in generale secondo il concetto di storia originaria o storia delle origini. Il pre-diritto non è un passato che possiamo solo ricostruire senza  che abbia più alcun significato vivo per noi adesso, è invece un passato che resiste e non passa, che è contemporaneo al presente che noi siamo, che riemerge costantemente destituendo il diritto o mostrandone la radicale infondatezza.

2) Berlusconi e la giustizia. Per capire il suo atteggiamento bisogna attivare due categorie fondamentali,  quella di ordalia da un lato e quella di dissidio dall'altro. Da un lato Berlusconi apre un dissidio, cioè contesta il legislatore, il fondamento delle regole. Questo significa ciò che gli viene continuamente rimproverato e cioè che egli si difenda dal processo e non nel processo. Difendersi nel processo vorrebbe dire accettare le regole, invece Berlusconi non accetta le regole e dunque si difende dal processo, non riconosce legittimità né ai suoi accusatori né ai suoi giudici 'naturali'. So che quel che sto per dire apparirà blasfemo ma la posizione di Berlusconi è simile a quella dei sopravissuti ai campi di concentramento nazisti di cui parla Lyotard nel Dissidio: se  accettano i criteri normativi cui si ispirano i negazionisti  essi non possono che  risultare colpevoli; allora per affermare il torto che hanno  subito non possono che delegittimare il legislatore che ha legittimato quelle norme in nome delle quali sono colpevoli e avrebbero meritato di essere gasati come gli altri.
Dall’altro Berlusconi invoca l'ordalia, cioè il giudizio di Dio che nelle forme di governo democratiche coincide con il voto elettorale. Egli infatti usa l'elemento fondamentale del pre-diritto, il giuramento. Giura sui suoi figli, sulla madre morta, giura e ritiene che il giuramento pubblico che invoca la maledizione nel caso dello spergiuro, sia sufficiente, basti a dimostrare la sua innocenza. E come giura sfida: sfida l’avversario a sottoporsi al giudizio di Dio (la sovranità popolare: en passant questa dovrebbe essere una buona ragione per abbandonare questo mito moderno della sovranità popolare e per pensare la democrazia come facevano gli antichi, come una  forma di governo che non è l’espressione della volontà del popolo ma la temporanea guida della nave-città).  Ora il giuramento non è un enunciato apofantico, constativo, è un performativo, giurare coincide con il dire lo giuro. Se quindi Berlusconi giura che quel che dice è vero,   la verità allora è iscritta nel giuramento stesso e non potrà essere verificata da un testimone terzo ma solo convalidata o meno da un giudizio ordalico.   
La  filosofia contemporanea dovrebbe essere grata a Berlusconi perché le permette di verificare in concreto i suoi assunti principali: la fine della verità come apofansi, come constatazione   di ciò che è. La verità è invece performativa, è causa diretta di ciò che è. Fabbrica  l'essere. La verità è evento, accadimento che inaugura il criterio di partizione fra vero e falso invece di  presupporlo. Berlusconi è un erede inconsapevole  di Nietzsche, una delle sue maschere  - e non delle migliori.  Per Nietzsche - e Berlusconi copia e copia male - non esistono i fatti cui si appellano Zagrebelsky e Maurizio Ferraris: esistono le enunciazioni e la manipolazione degli enunciati. Vittoria postuma dei sofisti su Platone: i fatti non esistono, esistono solo le interpretazioni.
 Sul tema del giuramento si veda G. Agamben, Il sacramento del linguaggio. Archeologia del giuramento, Laterza, Bari 2008, in  particolare il tema dell' impunità dello spergiuro nel diritto arcaico (p. 38).


3) Ma i ceti medi riflessivi quando leggono l'intervista di Antonio Gnoli a Zizek pubblicata su un recente numero di Alfabeta2 capiscono il riferimento a Ubu? Quando mai hanno letto o visto   Ubu re di Alfred Jarry? O sentito parlare della patafisica?
Poiché Zizek cita, a proposito di Ubu e dei comportamenti ‘ubueschi’ di cui Berlusconi sarebbe una perfetta incarnazione, Foucault partiamo da lì: il luogo è il seminario Gli anormali del 1974-1975. Il riferimento a Ubu compare proprio all’inizio ma non immediatamente, come lascia credere Zizek, collegato alle forme postmoderne della sovranità politica tipo Berlusconi o Busch, ma al contrario alle perizie psichiatriche fatte per i tribunali che devono giudicare soggetti accusati di delitti particolarmente odiosi e che vogliono sapere dagli psichiatri se sono sani di mente e quindi perseguibili oppure  sono portatori di una patologia psichica e di conseguenza non punibili. E se non si può sapere questo con certezza si aspettano almeno un quadro della personalità dell’accusato che possa spiegare il delitto di cui si sarebbe macchiato.  Nasce così la categoria degli anormali che non sono dei folli a tutti gli effetti ma nemmeno delle persone normali e che quindi possono essere sottoposti a delle procedure di normalizzazione, in altre parole possono essere prese in carico dalla giustizia penale con la legittimazione della scienza psichiatrica.
Sono le perizie psichiatriche usate per formulare le sentenze sempre più infarcite di un vago sapere psicologico, con ricostruzioni approssimative della personalità dell’imputato e valutazioni fantomatiche sulla sua affididabilità, ad essere definite da Foucault ‘ubuesche’, vale a dire grottesche, tali da far ridere. Ciò vuol dire che la verità scientifica, cioè quella del sapere psichiatrico o del sapere psi in generale, e quella giudiziaria  che si basa sulla prima fanno letteralmente ridere tanto sono grottesche, cioè non solo false, ma soprattutto ridicole, piene di luoghi comuni spacciati per verità assolute,  ragionamenti sofistici, degni  dei processi alle streghe come quella parte della sentenza di uno dei tanti processi fatti ad Adriano Sofri in cui si sostiene in  tutta serietà che il fatto di continuare a proclamarsi innocente da parte dell’imputato era la prova psicologica  che era colpevole  perché così facendo dimostrava che non si era pentito. Non si sa se ridere o piangere.
Per prima cosa allora va detto che per Foucault ‘ubuesco’ è l’intreccio perverso della scienza psichiatrica e del discorso penale, del sapere e del potere così come si dà nella modernità e nella nostra contemporaneità - stavo per scrivere ‘attualità’. Ad essere ‘ubueschi’ sono gli psichiatri, i criminologi, gli psicoterapeuti, i sessuologi, oggi onnipresenti sugli schermi televisivi per discettare delle varie Sara, Iara, Melania, etc. E dall’altro ‘ubueschi’ sono i giudici, le loro sentenze, il loro linguaggio che oscilla fra il burocratico e l’accademico, il linguaggio del potere. Fanno ridere.
Solo a partire da queste considerazioni Foucault passa ad una definizione generale del ‘grottesco’ applicato alle figure della sovranità politica: «Chiamerò ‘grottesco’, scrive, un discorso o un individuo  che detengono per statuto degli effetti di potere di cui, per la loro qualità intrinseca, dovrebbero essere privati. Il grottesco o, se preferite, l’ ‘ubuesco’, non è semplicememnte un epiteto ingiurioso. Non è comunque come tale che vorrei usarlo. Ritengo, anzi, che si dovrebbe formare una categoria dell’analisi storico-politica che tratti del grottesco o dell’ubuesco. Il terrore ubuesco, la sovranità grottesca, oppure in  termini più austeri la massimizzazione degli effetti del potere a partire dalla squalificazione  di colui che li produce: tutto questo io credo non è  accidentale nella storia del potere, non è una disfunzione del suo meccanismo. Mi sembra al contrario  che sia uno degli ingranaggi che fanno parte dei meccanismi del potere» (p. 21-22).
Insomma il potere politico è tanto più efficace  quanto più i suoi effetti vengano trasmessi da o trovino addirittura la loro origine  «in un recesso  che è manifestamente, esplicitamente, volontariamente squalificato dall’odioso, dall’infame o dal ridicolo» (22). Questa forma del potere non è neanche specificamente moderna, gli esempi più grandi provengono dalla storia della Roma imperiale in cui la persona dell’imperatore in cui si concentra il massimo del potere è comtemporaneamente squalificata e «nella sua realtà fisica, nel suo abito,  nel suo gesto, nel suo corpo, nella sua sessualità, nel suo modo di essere» dimostra di essere un personaggio infame, grottesco, ridicolo.  Gli esempi sono quelli classici di Nerone e Eliogabalo.
A questo punto Foucault apporta delle precisazioni importanti: a) grottesco e infame, ‘ubuesco’ non è soltanto l’esercizio del potere di figure come Nerone e Eliogabalo, ma anche e soprattutto  quello degli apparati burocratici degli stati moderni: e così siamo rimandati all’inizio del discorso, alle perizie psichiatriche e alle sentenze giudiziarie. Foucault cita a questo proposito Kafka e Dostoevskij. E cosa più importante lega decisamente la figura di Ubu re alla modernità: Ubu «appartiene al funzionamento dell’amministrazione moderna» (22). Ciò che  vale per l’impero romano è applicabile anche al nazismo e al fascismo italiano: «il grottesco di uno come Mussolini era iscritto nella meccanica del potere» (23).
b) Forse nelle società cosiddette primitive e studiate da Pierre Clastres la ridicolizzazione del sovrano faceva parte delle pratiche con cui se ne limitava il potere. Oggi al contrario l’abiezione del potere serve a manifestare in modo evidente la sua «insormontabilità e inevitabilità» (23), vale a dire che il potere funziona «in tutto il suo rigore e al limite estremo della sua razionalità violenta anche allorquando è nelle mani di qualcuno realmente squalificato». L’infamia è costitutiva del potere. Foucault rinvia di conseguenza a Shakespeare e alle tragedie  dei re che pongono esattamente questo problema. D’altronde il riferimento a Shakespeare è esplicito in Jarry che all’inizio del testo di Ubu re premette questo esergo: «Ordunque il Padre Ubu scosse la pera, onde fu poi chiamato dagli inglesi Shakespeare, e di lui, sotto questo nome avete assai belle tragedie per iscritto» (Shakespeare = to shake = scuotere + pear = pera; Ubu ha la testa a forma di pera: in francese pére = padre, poire = pera, per cui Pére Ubu = padre Ubu, Ubu pera. Ubu è un padre-re fatto a pera, cioè a cazzo). Ubu re è una evidente parodia del Macbeth di Shakespeare e colpisce che tutti quelli che lo citano a sproposito dimentichino l’esistenza di Madre Ubu replica grottesca di Lady Macbeth, vera incitatrice delle nefandezze di Ubu. La serie delle tragedie dei re grotteschi e infami culmina «nel piccolo uomo dalle mani tremanti che nel fondo del suo bunker, coronato da quaranta milioni di morti, domandava solo due cose (che tutto il resto al di sopra di lui  venisse distrutto e che gli portassero, fino a creparne, dei dolci al cioccolato)»(23).
c)  Ma tornando alla tesi iniziale Foucault conclude il discorso sulla sovranità grottesca e infame dichiarando che ad essere responsabile della sua esistenza è solo «la giustizia» presa «al suo limite estremo, là dove si attribuisce il diritto di uccidere». Potremmo dire allora che se Berlusconi è ‘ubuesco’ ce ne libereremo soltanto quando ci saremo liberati degli psichiatri e dei giudici. Le due cose coincidono.


4) Qualche altra ossevazione su Ubu: sembra difficile credere che quando Foucault cita Eliogabalo fra le figure sovrane dell’antichità si sia dimenticato di un libro del suo amato Antonin Artaud  intitolato   Eliogabalo  o l’anarchico incoronato. Eliogabalo è per Artaud un esempio del teatro della crudeltà e dell’anarchia. Scrive Artaud: «Eliogabalo ha avuto presto il senso dell’unità, che è alla base di tutti i  miti e di tutti i nomi: e la sua decisione di chiamarsi Elagabalus, e l’accanimento ch’egli pose a far dimenticare la sua famiglia e il suo nome, e a identificarsi col dio  che li copre, è una prima prova del suo monoteismo magico, che non è solo verbo ma azione.
Questo monoteismo, in seguito, lo introduce nella opere, ed è questo monoteismo, questa unità di tutto che disturba il capriccio e la molteplicità delle cose,  che io   chiamo anarchia.
Aver il senso dell’unità profonda delle cose, è aver il senso dell’anarchia - e dello sforzo da compiere per ridurre le cose riconducendole alla unità. Chi ha il senso  dell’unità ha il senso della molteplicità delle cose, di quella polvere d’aspetti attraverso cui  occorre passare per ridurle e distruggerle.
Ed Eliogabalo, in quanto re, si trova nel miglior posto possibile per ridurre la molteplicità umana, e ricondurla con il sangue, la crudeltà, la guerra, fino al sentimento dell’unità» (p.44-45).
Jarry dal suo canto  in un testo che si intitola Essere e vivere e che lega nell’esergo il signor Ubu alla patafisica, cioè alla scienza delle soluzioni immaginarie, le soluzioni affidate al non senso e al capriccio,  pone l’equivalenza fra l’Essere e l’Azione, anzi il pensiero è «il feto dell’Azione» o «l’Azione ormai giovane». L’Essere è continuo, inesteso, eterno. Vivere è invece la discontinuità, l’«impressionismo in serie». «L’anarchia È». «L’essere è migliore del Vivere», ma se debbo glorificare il mio Vivere non posso non volere che l’Essere scompaia. Allora «ogni assassinio è bello: distruggiamo dunque l’Essere. - Con la sterilità». O «Con lo stupro» visto che «l’Essere è Genio: se non eiacula, muore».
O distruggiamno con  l’Azione o con la non Azione, con la sospensione dell’azione. L’anarchia al potere è la distruzione della norma, dell’ordine, delle partizioni autorizzate, legittime, imposte proprio perché permesse, l’anarchia incoronata  distrugge il nomos della terra, anzi fa sprofondare la terra. La domanda cioè è se per Foucault il potere  ha solo un significato negativo e  non anche un significato positivo: se il potere moderno è quello dell’amministrazione burocratica, dei saperi scientifici e della pratiche giudiziarie, l’altro potere, quello che farà resistenza, dovrà per forza essere anarchico come quello di Eliogabalo. La figura della sovranità ubuesca è infine doppia: testimoniando dello scollamento strutturale fra l’esercizio del potere e la legittimità di chi lo esercita, mostra il caratttere infondato del potere, la sua natura anarchica e prepara la resistenza e il ribaltamento.
D’altronde basta pensare che il termine ‘infamia’ usato da Foucault a proposito della sovranità antica e moderna cambia statuto già nel 1977 nella prefazione ad un libro mai uscito che aveva come titolo La vita degli uomini infami. Qui infami sono gli esclusi, gli anormali, i malati di mente, i Pierre Riviere, le Herculine Barbin, tutti coloro che hanno commesso  delitti strani e inspiegabili, che la società non si accontenta di punire e basta, anche con la pena di morte se ciò fosse necessario, ma  rispetto ai quali vuole anche che confessino la loro stranezza, la loro infamia,  si sottopongano alle perizie psichiatriche,  ascoltino le elucubrazioni degli psicoterapeuti,  che il loro delitto venga spiegato con il loro carattere, le loro abitudini soprattutto sessuali, i loro gusti, etc.
Gli infami non sono più i re, sono gli esseri qualunque, le persone anonime, quelle che sono sottoposte al potere disciplinare più violento e più estremo che o riesce a renderli normali o deve eliminarli chiudendoli negli ospedali psichiatrici se non nelle carceri tout court.




5) In un libro di Denis Hollier (Les Dépossédés, Minuit, Paris 1993, p. 57, cit. in Jean-Luc Nancy, Maurice Blanchot. Passion politique. Lettre-récit, Galilée, Paris 2011, p. 27) si legge questa frase: «(negli anni trenta) tutto ciò che non era rifiuto fobico davanti al fascismo passava allora facilmente per complicità. La volontà di sapere diventava una forma di simpatia. Il solo fatto di  indagare sul fascismo, d’interrogarsi sul meccanismo del suo successo, faceva sospettare d’avere per il fenomeno un interesse che andava al di là dell’epistemologia». La mente va immediatamente a Bataille e al suo tentativo   di comprendere il fascismo. Ma è impresssionante come le stesse cose si potrebbero dire oggi rispetto a Berlusconi: anche qui ogni tentativo di comprendere questo fenomeno che non si riduca all’esecrazione o all’indignazione  viene tacciato di complicità. Se non ci si riconosce nell’attuale opposizione di centro sinistra si è autenticamante di destra e alleati di Berlusconi. Si viene sottoposti ad un ricatto continuo. Io penso ad esempio che l’attuale diffusione a macchia d’olio della giustizia, la colonizzazione di interi settori della vita da parte del diritto,  che vengono normati e normalizzati, e che entrano perciò nella sfera del giudicabile e quindi del penalmente rilevante, siano processi  estremamente pericolosi anche perché capaci di  esautorare soprattuto la politica dal suo ruolo di progettare il futuro delle comunità tentando se ciò fosse necessario anche l’impossibile. Vorrei che di queste preoccupazioni, che erano le stesse di Foucault, si facesse carico la sinistra. Putroppo lo fa solo Berlusconi: so benissimo che in questo modo difende anche se stesso, ma se per me la limitazione dello strapotere dei procuratori della repubblica e dei pubblici ministeri e la lotta contro la convinzione di molti giudici di produrre attraverso  l’esercizio del diritto e del giudizio la trasformazione della società sono opzioni irrinunciabili e di sinistra, scelte comuniste, dovrò augurarmi che almeno lo faccia Berlusconi visto che non  lo fa nessun’altro.

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