domenica 25 luglio 2010

Lettera a un'amica sul film di Marco Bellocchio 'Vincere'

Cara Antonella,
ho letto la tua recensione al film di Bellocchio. Lo dico subito: mi è piaciuta la parte centrale, meno l’inizio e la fine. D’accordo sulla fascinazione che lega Ida a Mussolini, d’accordo sulla rilevanza del corpo del duce (sarebbe il caso di ricordare che la potenza del corpo del duce si ripete, si rispecchia nell’imitazione da parte del figlio e diventa alla fine una caricatura grottesca come se quell’immagine che si è impadronita del corpo del figlio alla fine non possa che distruggere la mente di quest’ultimo: tieni conto però che la storiografia su Mussolini oscilla sulla morte di Benito Alvino che attribuisce alla guerra), molto d’accordo sul rapporto fra media e potere.
Meno d’accordo, e lo sai, sull’idea di fare di Ida un’eroina femminile-femminista in cui soprattutto si confondono eroismo politico e eroismo amoroso (forse potresti evitare quel risorgimentale ‘grido di dolore’ che rischia di essere eccessivamente enfatico). Stando al film Ida è come tu dici una donna emancipata che s’innamora di Mussolini anche perché è socialista e rivoluzionario; presa nella fascinazione non si accorge che Mussolini è animato in realtà da una pulsione – chiamiamola così – al potere e al potere comunque sia. Tra le altre cose il film potrebbe anche essere letto come uno studio sulla formazione di un capo o su come può accadere che un individuo che assume una posizione rivoluzionaria possa trasformarsi nell’esatto contrario. In altri termini, e credo in continuità con il tema dominante del cinema di Bellocchio: come i vecchi e i morti risucchino nella loro sfera i giovani e i vivi, il film fa vedere il progressivo identificarsi di Mussolini prima con lo stato ( vale a dire con la guerra) – visita di Vittorio Emanuele in ospedale -, poi con Dio – film sulla crocefissione sempre in ospedale mentre lui è ferito – e infine, e non poteva essere diversamente, con la famiglia – matrimonio con, o scelta definitiva per, Rachele. D’altronde se fosse rimasto socialista e rivoluzionario le cose non sarebbero andate diversamente: anche lì, e ‘Buongiorno notte’ lo dimostra, si finisce inevitabilmente se si vuole vincere in mano a Stalin e al terrorismo, l’altra faccia del potere, caricatura dei notabili democristiani e di papa Montini, che è sempre il potere dei morti, del passato, dei vecchi e si oppone alla innovazione e alla creatività. E che per essere il potere dei morti non può alla fine che votarsi esso stesso alla morte e alla distruzione: Vincere! si rovescia in desiderio di perdere.
A questo punto Ida non serve più. Il fatto però è che Ida non ci sta, non ci sta ad essere messa da parte, a eclissarsi. Ora è esattamente su questo fatto, sul fatto che non ci sta, che non accetta di riconoscere che Mussolini non è quello che lei ha creduto, che, mi pare, non siamo d’accordo. Per me la caparbia di Ida dimostra la sua difficoltà a proseguire sul cammino dell’emancipazione: resta del tutto affascinata da Mussolini dal quale continua a chiedere di essere riconosciuta come moglie e come madre. E se Mussolini va verso il disastro cui lo spinge la sua pulsione a vincere, anche Ida non è da meno: in modo inverso ma simmetrico, si avvia anche lei, scegliendo la follia, un classico delirio di rivendicazione, verso la distruzione. Paradossalmente resta sempre solidale con Mussolini, si situa dalla sua stessa parte. Un dramma nel dramma, ma non un antagonista. Un dramma del potere. Non c’è dubbio che essendo un dramma nel dramma del potere la storia di Ida ne sia anche una decostruzione di fatto, e di conseguenza è vero che la sua resistenza è ciò che mostra la fragilità e l’inconsistenza del potere, il fatto che esso poggi su un terreno friabile e instabile. Che possa cadere ad ogni istante. Ma non fa di Ida un’ Antigone. Non metto in dubbio che sia stato Bellocchio a fare il paragone ma non mi convince lo stesso: Antigone – e non è cosa da poco – non è mai, neppure per un istante, affascinata da Creonte, non partecipa mai all’ebbrezza del potere in cui l’altro cade. Non si sarebbe mossa se non fosse stato per il fatto che il fratello morto non poteva più essere rimpiazzato e Antigone non può permettere che si possa espellere dall’essere chi, chiunque sia, vi sia entrato una volta. E’ vero che è mossa dall’amore, ma non dall’amore per Creonte, bensì da quello per il fratello che va amato comunque, anche da morto e anche se fosse un traditore. Antigone sta in un altro luogo – quello delle leggi non scritte dice Lacan -, Ida sta nello stesso luogo di Mussolini e ne segue la sorte. Creonte cade a causa della decisione di Antigone; Ida cade a causa della sua identificazione con Mussolini.
Forse, chissà, se avesse seguito l’indicazione dello psichiatra e avesse rinunciato ad essere riconosciuta da Mussolini, avrebbe potuto diventare, che so, partigiana o fondare il sindacato delle modiste. Un esito meno drammatico certo, ma forse più creativo. Altra cosa sono le forme estreme dell’amore, di cui Antigone è un esempio, quelle forme estreme che distruggono tutto, compreso il soggetto che se ne fa portavoce: di queste Ida è al massimo un’eco debole. Non va abbastanza in fondo: la sua follia di essere riconosciuta come moglie del capo e madre del suo primogenito, dimostra che sulla via del desiderio Ida si è fermata all’inizio e non è andata più avanti. È rimasta afferrata nella trappola del potere.
Un caro saluto,
Bruno

1 commento:

  1. Caro Bruno,
    non credo che il nostro modo di vedere la storia di Ida Dalsere sia del tutto dissimile. D'accordo pienamente con te quando dici che la sua vicenda è una "dramma nel dramma nel potere" e dunque una sua "decostruzione di fatto". Ti giro parte della mia risposta (apparsa su Via Dogana nel n. 92) ad una lettera di una lettrice che paragonava il "sacrificio" della Dalser a quello della resistenza.
    "Lei si interroga sul valore politico della vicenda di Ida Dalser. La forza della donna sarebbe nella capacità di opporsi al sistema fascista. Lei paragona la sua ribellione ad un'altra forma di rivoluzione che di lì a poco avrebbe attraversato l'Italia, la Resistenza. Credo si tratti di due cose diverse. La ribellione di Ida Dalser non può essere paragonata a quella dei partigiani della Resistenza. Ida è infatti dentro il sistema di potere fascista. Ella è soggiogata dall'aura di potenza di Mussolini al punto tale da aver deposto nelle mani dell'amato la sua stessa esistenza. Al punto tale da preferire la morte di se stessa e del figlio pur di affermare l'ossessione di un sentimento. Il suo è un amore narcisistico che la ha isolata dal mondo rendendola schiava della sua paranoia. Assieme all'Italia del tempo, Ida va al cinema a contemplare con sguardo estatico il corpo nerboruto del Duce. E' della virile potenza di quella immagine che è innamorata ed in essa rispecchia se stessa. L'ossessione della giovane amante è lo specchio della paranoia collettiva di un popolo. La bravura del regista è proprio nella capacità di ricostruire le motivazioni psicologiche della decadenza di un popolo attraverso la tragicità di una vicenda tutta personale.
    A differenza del martirio della Resistenza, il sacrificio della donna è privo di un ideale collettivo. In esso non c’è altruismo e dunque spessore politico. La vicenda della giovane amante non ha avuto la forza di cambiare le sorti della storia.
    Nella sua osservazione lei si sofferma giustamente su uno dei momenti topici del film, quello del dialogo notturno tra lo psichiatra e la donna. E’ più giusto per la Dalser, chiede, seguire le indicazioni ragionevoli del medico o inseguire il suo cuore? Credo che non sarebbe giusto provare a dare una risposta. Il merito del film è a mio avviso proprio nelle esplicita rinuncia a voler affrontare tale questione. Nel silenzio di una non risposta c’è infatti l’esplicita rinuncia ad esprimere un giudizio definitivo che finirebbe per ingabbiare e dunque ridurre tale figura. Ida ha agito inseguendo la sua volontà. Nonostante tutto e a dispetto di tutto. La sua azione è al di là “del bene e del male” perché il suo è un sentire personale in grado di porla al di là delle mediazioni dominanti. In questo senso, la donna è una outsider. Una sorta di scarto dello stesso sistema ed un potenziale corto circuito. E’ questa la forza e la debolezza della sua immagine"
    Un abbraccio
    Antonella

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